Cookie Consent by Free Privacy Policy website Marco Emmanuele: La pittura con gli occhi fioriti d’amicizia
marzo 01, 2023 - Espoarte

Marco Emmanuele: La pittura con gli occhi fioriti d’amicizia

Verso la fine di un piccolo volume, nato come un raccoglitore di pensieri intimi, il filosofo Giorgio Agamben, ragionando su quali siano state le esperienze che abbiano impresso maggiormente la sua vita, asserisce convintamente che «scrivendo, ho imparato che la felicità non consiste nel poetare, ma nell’essere poetato da qualcosa».[1] La lietezza, quindi, si rivela come un atto di donazione transitiva, verso una misteriosa entità qual è la felicità creativa, decifrabile con il sentimento della condivisione e dell’afflato reciproco che intreccia vite segnate dall’arte. Da queste riflessioni ci si potrebbe muovere per accostarci all’inedito e perspicace progetto che Marco Emmanuele presenta presso la Fondazione Pastificio Cerere di Roma, intitolato Amici o Pittori, in programmazione dal 15 febbraio al 15 aprile 2023, generato come una spinta propulsiva all’elaborazione chiamata Drawing machine. Tale strumento è stato ideato dall’artista nel 2016 ed intende focalizzare l’attenzione sulla trasmissione dell’atto creativo umano, ora intermediato da un macchinario. Così, quello che è in #mostra al Pastificio Cerere è un momento evolutivo di una profonda ricerca che unisce questioni relative alla natura dell’artificio, la soggettività, l’imprevedibilità, la prova autoriale, ma ancor prima è un raccoglitore di una energia creativa che mette in moto la dinamica del pensare e dell’agire per un unico limpido fine: l’amicizia che lega un gruppo di pittori.

Questo desiderato e convinto sconfinamento, di cui l’arte contemporanea necessita in maniera vitale, unisce come detto, amici e pittori, rappresentando, al contempo, una cristallina risposta al soggettivismo ed all’individualismo imperante nell’attuale panorama dell’arte contemporanea. Da qui, il macchinario di Emmanuele prende inaspettatamente le sembianze di uno strumento combinatore, che permette, in altri termini – volendo citare le parole di Agamben – di farsi poetare da qualcosa. Ed ecco che il passo evolutivo della Drawing machine#5.2 ha indotto Emmanuele a selezionare un gruppo di pittori quali Marco Affaitati, Paolo Assenza, Orazio Battaglia, Dario Carratta, Giulio Catelli, Valerio Di Fiore, Marco Eusepi, Krizia Galfo, Alessandro Giannì, Luca Grechi, Charlotte Janis, Caterina Silva, Fabrizio Sartori, Andrea Mauti, Emiliano Maggi e Gianni Politi chiamati a creare in maniera duale e reciproca un’opera seguendo gli stimoli del proprio sodale, pur sempre utilizzando l’asta del macchinario come unica fonte creatrice. Cosicché l’incontro tra le mani d’artisti diversi crea una combinazione che, in virtù del dispositivo, dà origine a singolare ed apprezzata riscrittura visiva, il cui risultato è una galleria d’immagini, cui nonostante l’apparente aspetto di abbozzo, non mentono affatto all’occhio e registrano in maniera indiscriminata tutte le vibrazioni e frizioni dell’apparecchio durante l’atto inventivo. Questi bizzarri raddoppiamenti pittorici, allestiti nella dimensione fluida nella luminosa sala del Pastificio, tendono, verosimilmente, a proiettare la pratica di ogni artista con un indomito spirito di ricerca e di velata costruttiva giocosità. Un ultimo aspetto è particolarmente pregnante: ogni partecipante, da par suo, si impegna a far coincidere il sentimento d’amicizia e di rispetto verso la ricerca altrui con la propria autonoma scelta creativa, in sostanza, si rafforza il pensiero significativo delle parole iniziali di Agamben, secondo cui la felicità di tale comunità risiede non tanto nel concentrarsi su sé stessi, bensì nel lasciarsi poetare, facendosi dipingere vicendevolmente secondo i propositi di qualcun altro.

Giova anche chiarire che con Emmanuele si sfiora la forma sana dell’arte, il suo vero compimento, ovverosia la volontà di far coincidere le identità pittoriche, ora dialoganti come metafore delle singole libertà nella costante consapevolezza del rispetto della dignità di altri artisti, in una pausa contemplativa che precede l’esplorazione di nuove possibilità creative. Nondimeno, con l’ideazione della Drawing machine lo stesso Emmanuele ci induce delicatamente ad effettuare un passo indietro rispetto alle nostre personalità, dimodoché il sistema agisce come un moltiplicatore collettivo e cognitivo di linguaggi, un atto di verifica e di trasmissione sì da rendere possibile, per chi vi ricorre, delle nuove scoperte in grado di suscitare ulteriori e sempre fantasiosi risultati. Ma non si dimentichi neppure, che nelle opere in rassegna emerge lo stato più istintivo, primigenio e radicale di ogni pittore, la cui essenza coincide proprio con il loro grado primordiale. Tutti i partecipanti, infatti, sono riusciti a svelare lo stato nascente del loro stile, senza mai cedere al proprio compagno-artista, nonostante vi sia sempre un candido filtro che lenisce il linguaggio dell’altro, una diffusa dispersione stilistica che altera i singoli apporti, rendendo irriconoscibile la propria formula, quasi da far credere, senza infingimenti, che ogni opera è una partecipata cognizione di causa. Tra le coppie di pittori e amici sono da citare le opere di Valerio Di Fiore e Krizia Galfo, i quali entrambi toccano vagamente la sfera figurativa che si palesa per il carattere atmosferico, vivendo inconsapevolmente di simili echi coloristici. Inoltre, la verosimiglianza con il loro soggetto pittorico sembra un’azione di riflessione duale riverberata ad uno specchio, sì da suggerirci che nel confronto con l’altrui si possono reperire le proprie inclinazioni, in cui i due si ritrovano vagamente, senza mai chiaramente individuarsi. Degni di nota sono anche i lavori di Giulio Catelli e Luca Grechi, il cui colore è tutto fuorché realistico, quasi un pretesto formale volto ad organizzare una sintassi visiva, tant’è che la gradazione timbrica ed intensa è la prima protagonista. Le opere dei due pittori, di conseguenza, tendono ad attrarsi e davvero non ci si stanca di bere con gli occhi quella nota di blu, così innaturale e mistica, da farle sembrare congelate. Ciò che sorprendentemente accomuna le due ricerche, nonostante la forte ed incisiva diversità, è la felice circostanza di constatare che entrambi gli artisti indaghino, sia pur inconsciamente, gli elementi di assolutezza ed autonomia della vitalità figurativa.

Una consonanza, da far specie, lega visivamente le tele create da Alessandro Giannì e Marco Eusepi, i tratti pittorici attentamente cadenzati e definiti da una sensibilità compositiva che siamo soliti rintracciare nelle opere di Giannì, si trasformano nelle mani di Eusepi in chiari aloni pittorici, in un esito inaspettato di una #pittura che sorprende. Di contro a voler analizzare l’opera di Eusepi per interazione con quella di Giannì, la #pittura sposta nuovamente il regime emotivo, riconoscendo comunque d’altro valore la cifra identitaria dello stesso Eusepi, capace di assemblare le sindoni della natura in pochi tratti carichi di colore. Quel che siamo soliti a vedere nelle opere di Dario Carratta e Caterina Silva, rispettivamente sogni figurativi pregni di strati subconsci e alchemiche visioni galleggianti in ritmici plancton, nelle opere in #mostra al Pastificio ci svelano invece, quanto per entrambi il proprio divenire artistico si ponga agli antipodi. Eppure, in entrambe le produzioni, emerge un soave sforzo di immedesimazione, a dimostrare quanto la capacità di mettersi nei panni dell’altro sia in realtà un primo passo per capirsi, amalgamandosi, sia pur con prudenza e moderazione.

Pare invece che per Charlotte Janis e Marco Affaitati il momento dell’astrazione sia un atto di riposo verso il mondo esterno: per entrambi, infatti, la rarefazione dell’immagine, del colore e del segno li conduce verso una sintesi grafica estrema, una sorta di diradamento dei codici visuali in cui l’ombra è qualcosa di incorporeo che muta nella forma in funzione di un binomio maieutico basato sulla composizione ed il colore. Le opere riferibili ad Orazio Battaglia e Paolo Assenza si connotano per una incisiva tenacia volta a catturare le note di un intenso oceano di misteriosi ed oscuri bisogni, perdipiù sembra assurdo che le colorazioni sgargianti del primo siano acquietate dall’interferenza segnica dell’Assenza, in un intervento pittorico che rivela il malinconico incanto che gli è proprio. Per Emiliano Maggi e Gianni Politi il gioco delle intenzioni con la Drawing machine#5.2 si rivela intenso, sì da suggerirci che ci sia stata un’agitazione anziché un’azione, ed ecco che i filamentosi estratti segnici di Maggi intendono suggerirci un intervento che presenta una intensa capacità di sintesi, mentre per Politi l’intervento è valso a sconfinare i limiti coloristici dell’opera sino ad inaridirsi tonalmente. Paradossalmente uniti nella loro diversità, gli artisti Andrea Mauti e Fabrizio Sartori rivelano una intenzione animista della loro #pittura, a fattor comune amanti della vitalità e della spiritualità delle tinte e capaci di svelare sintesi visive velatamente alchemiche.

Vi è di più, il progetto di Emmanuele è affiancato dall’allestimento di una quadreria, Les amis de mes amis sont mes amis, Ipotesi per una quadreria, presso gli attigui Spazio Molini del Pastificio, progetto diramazione che intende raccogliere le creazioni, in questo caso autentiche e senza interferenze, dei pittori partecipanti alla rassegna. Tale scelta, vuole essere una raccolta pittorica di una contemporanea agorà in cui ogni artista a proprio piacimento, propone l’opera più rappresentativa, quasi a voler intendere un esercizio che esonda i normali limiti per fagocitare l’intera vita di chi la pratica. Del resto, con questo progetto Emmanuele ha inteso esaltare lo sguardo comune d’ogni artista, sconfinando nella divagazione dispersiva di una ricerca anonima, poiché il suo è un sereno colloquio con i propri amici e l’esperienza viva della Drawing machine#5.2. Sul filo di questo dialogo collaborativo deve citarsi il commento dell’artista ed amico, Diego Miguel Mirabella, in chiusura della pubblicazione edita in occasione della #mostra, laddove afferma che «con gli amici artisti si può fare tutto perché accettano, fuori da ogni giudizio, la vita con tutto il pacchetto di scintille ed eccessi; si costituiscono famiglia». Solo chi abbia compreso queste parole è conscio che Emmanuele ha raccolto un gruppo di pittori dagli occhi fioriti d’amicizia, le cui opere sono frutto di una pratica che deterge e rinnova i loro visi di germogli, nell’attesa di tornare a sbocciare ancora più trasparenti e vivi, come le gemme di un nuovo rigoglio.