Cookie Consent by Free Privacy Policy website “Change”: un sogno di roccia in 185 movimenti
ottobre 14, 2020 - Camp

“Change”: un sogno di roccia in 185 movimenti

Stefano Ghisolfi ha fatto il bis: il 28 settembre scorso, il più forte #climber italiano di tutti i tempi ha firmato la prima ripetizione di Change nella favolosa grotta di #Flatanger, regalandoci le stesse emozioni di quando, il 7 dicembre 2018, riuscì a salire Perfecto mundo a Margalef. Le stesse emozioni perché entrambe le vie, una in Norvegia e l’altra in Spagna, condividono il medesimo altissimo grado: quel 9b+ che, per chi non lo sapesse, è appannaggio di soli quattro itinerari – oltre a Change e Perfecto mundo ci sono La dura dura a Oliana e Vasil vasil nel Moravský kras – e di appena cinque arrampicatori. Così, quando abbiamo appreso la notizia, non abbiamo proprio resistito: telefono in mano e lunghissima – un’ora e passa – chiamata a Stefano per i complimenti del caso, of course, e per sapere tutto della sua ennesima, fantastica realizzazione.

Prima domanda, abbastanza scontata: come ti è venuto in mente di cimentarti proprio su Change?
«In un certo senso ho voluto approfittare di quest’anno particolare: niente Coppa del Mondo, estate libera e quindi perché non puntare a un bell’obiettivo e magari andare a #Flatanger, dove non ero mai stato? Insomma: prendere due piccioni con una fava, come si dice. Ma a #Flatanger, dove sta Silence ossia il primo 9c del mondo, cosa avrei potuto provare? Non Silence, mi son detto: sarebbe bello ma anche lunghissimo, visto quanto ci ha impiegato Ondra. E così ho pensato a Change che, pur essendo il primo 9b+ della storia, se ne stava lassù praticamente abbandonato: nessuno, dopo la salita di Adam nel 2012, ha avuto il coraggio di rimetterci mano».

Strano destino per una pietra miliare dell’arrampicata. Come mai, secondo te?
«Penso innanzitutto al filmato di Adam impegnato sul tiro: a mio parere quelle immagini, quei movimenti particolari e “contorti”, le urla e l’estremo sforzo che raccontano… ecco, tutto questo non ha certamente aiutato, facendo pensare che Change fosse una via assurda, veramente pazzesca, quasi da evitare. Se poi consideriamo il fatto che si trova in un luogo non così accessibile, che non permette trasferte brevi come ad esempio Céüse, e infine il grado 9b+, l’“abbandono” non appare più così strano».

Tu, però, non ti sei tirato indietro, risolvendo la questione anche piuttosto in fretta…
«La mia prima trasferta a #Flatanger è durata circa un mese, da inizio agosto a inizio settembre. Sono quindi tornato a casa per il Campionato Italiano Lead (che si è disputato il 12 e 13 settembre e ha visto l’ennesima affermazione di Stefano, ndr) e alcuni giorni dopo sono ripartito per la Norvegia: volevo portare avanti il progetto, compiendo qualche tentativo “serio”. Tuttavia è andata meglio del previsto: un po’ inaspettatamente, dopo venti-venticinque giorni complessivi di “lavoro”, sono riuscito a tagliare il traguardo».

In agosto eri in buona compagnia, visto che a #Flatanger c’erano diversi amici italiani. Che esperienza è stata?
«C’erano Stefano Carnati, Marcello Bombardi e Luca Bana che “stampavano” a più non posso! E io a lottare su Change, senza sapere come sarebbe andata a finire. Sì, avrei potuto mettermi su vie più facili, con buone possibilità di salirle – a #Flatanger non ero mai stato e avevo tutto da fare –, ma ho scommesso sul 9b+. E alla fine, per fortuna, ho vinto! In ogni caso non è stata la prima volta che mi sono trovato a vivere una situazione del genere: anche per Perfecto mundo è andata un po’ così. Puntare a tiri durissimi significa rinunciare ad altri, mettendosi parecchio in gioco, e sinceramente non vivo male la cosa: la vedo come un investimento per ottenere di più, proprio come quando ci si allena».

Ci fai un bel ritratto di Change?
«È un viaggio di 55 metri, 185 movimenti, divisi in due parti da una catena intermedia. La prima lunghezza, che è la più difficile, vale da sola un 9a+/b. Si parte con un #boulder di 7C, che termina con un piccolo riposo attorno al quarto fix: non estremo ma nemmeno scontato. Subito dopo arriva il famoso passo chiave – un blocco di 8B+ lungo circa tre metri – seguito da un buon riposo. Seguono un terzo passettino scontroso e continuità fino alla prima catena, che era l’obiettivo del primo viaggio. La seconda lunghezza comincia con un lungo blocco di 8A in traverso, sotto un tetto, mentre il finale è più facile: se fosse all’inizio non sarebbe un problema, mentre in alto richiede di tenere duro per altri 20-25 metri. Concatenare il tutto è stata una vera battaglia: un’ora di lotta estenuante, sfruttando al meglio tutti i riposi».

Come hai lavorato la via? Che strategia hai adottato?
«Ho cominciato dal blocco chiave, che fortunatamente sta a pochi metri da terra. Non avrebbe avuto senso studiare il resto senza aver chiarito il tratto più duro. E devo dire che inizialmente ho avuto qualche problema: ho faticato a trovare il mio metodo, diverso da quello di Adam, impiegando diversi giorni per risolvere il problema. Una volta individuata la sequenza, provando e riprovando la prima parte, mi sono sentito pronto sia per dei “veri” tentativi sia per dare un’occhiata alla seconda lunghezza, che tra l’altro non era priva soltanto dei rinvii fissi ma, ahimè, anche di tre piastrine».

E quindi come hai fatto? E perché mancavano tre piastrine?
«A #Flatanger, per il vento, capita che i rinvii fissi comincino a muoversi. Si muovono, oscillano, il dado si allenta, alla fine cade e… rinvio e piastrina gli vanno dietro! Io non lo sapevo, ma Stefano Carnati sì! Così era equipaggiato con un paio di piastrine di scorta, che mi ha prestato (gliele devo ancora rendere…) per permettermi di provare la via».

E la terza? Dove l’hai recuperata? E poi: come hai fatto a piazzarle?
«La terza, con relativo dado, l’ho recuperata da un fix piantato e abbandonato sul pavimento della grotta: eccezionale, no? E per piazzarle ho adottato l’unico sistema possibile: scalando e fissandole di volta in volta, tenendomi con una mano e armeggiando con l’altra, prima di agganciare i rinvii. Comunque ora so che certe cose possono succedere, e ne terrò chiaramente conto!».

Passiamo al secondo viaggio: com’è andata?
«Chiusa la prima parte e provata la seconda, ero pronto per tentare di concatenare il tutto: provare e riprovare fino a riuscire. Quanto ci avrei messo? Non ne avevo idea. Ma alla fine ci sono voluti soltanto altri tre giorni, con un tentativo al giorno: farne di più, su quella via, per me è impossibile. Con il primo tentativo sono caduto nel mezzo del blocco di 8A, con il secondo sono arrivato alla fine del blocco e con il terzo, passato il blocco e raggiunto un buon riposo con un incastro di ginocchio, sono andato avanti fino in catena. Le condizioni non erano ideali, c’era il sole e faceva caldo, alcune prese erano rimaste bagnate nonostante avessi cercato di asciugarle, io ero piuttosto stanco… ma ormai avevo metabolizzato ogni cosa e, come spesso capita, ce l’ho fatta».

Che differenze ci sono tra Change e Perfecto mundo?
«Grado a parte, sono due vie molto diverse, anche per il modo in cui le ho approcciate. Change è stato un progetto più complesso, con la necessità di studiare singole sequenze prima di pensare al resto: il processo è stato più difficile, paragonabile a un puzzle realizzato un pezzo alla volta. E soltanto quando tutti gli elementi erano pronti, chiari davanti a me, ho cercato di metterli insieme. Perfecto mundo, invece, permette presto tentativi decisi: all’inizio, ovviamente, sai che non arriverai in catena ma ci puoi e ci devi provare».

Che impressione ti ha fatto Flatanger?
«È un posto da favola… e la grotta è a dir poco incredibile! La immagini, la pensi, e quando la vedi non ti delude: è proprio così, come la sognavi! Ma non c’è soltanto la grotta: l’intero paesaggio è stupendo, pacifico e solitario, e si rivela un giorno dopo l’altro. Sembra impossibile che fino al 2012, prima che ci andasse Adam, #Flatanger non facesse parte del giro internazionale dell’arrampicata».

Quindi ci tornerai…
«Penso di sì, anche se magari non sarà nel 2021».

E che via ti piacerebbe salire?
«In verità ce ne sono tante, messe da parte per provare Change. Ma forse, tra tutte, sceglierei Move: un 9b/+ liberato nel 2013 dal “solito” Adam. Silence no, come dicevo: se dovessi provare un 9c opterei su Bibliographie a Céüse, che avrà certamente più successo tra i climber».

A proposito di Adam Ondra, che sui social network ti ha fatto subito i complimenti: vi siete sentiti dopo la tua salita?
«In verità ci eravamo sentiti anche prima, visto che in qualche tratto i fix di Change sono a cinque metri l’uno dall’altro, la linea non è univoca – sono possibili più soluzioni – e non volevo fare qualcosa di diverso da lui. E alla fine era davvero contento, felice che qualcuno avesse ripetuto una delle sue creazioni più importanti nonostante quel blocco da paura».

Ultima domanda: cosa combinerai di bello nei prossimi mesi?
«Terminate le riprese – video e foto – qui in Norvegia, io e Sara torneremo a casa ad Arco. E lì mi aspetta un bel progetto all’Eremo di San Paolo: una via indipendente, che ho chiodato insieme a Severino Scassa, che dovrebbe essere almeno 9b. Ad Arco, per la precisione a Làghel, c’è sempre il gran cantiere della King Line che vorrei condividere con Ondra, ma resta il problema fondamentale dell’attuale chiusura della falesia. La King Line potrebbe essere addirittura 9c ma, per ora, non possiamo far altro che attendere e sperare».

Foto di Sara Grippo

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