Cookie Consent by Free Privacy Policy website Rashid Johnson con 'Poetry' alla GAMeC di Bergamo - Spazio Zero
gennaio 16, 2016 - GAMeC

Rashid Johnson con 'Poetry' alla GAMeC di Bergamo - Spazio Zero

Dal 19 febbraio al 15 maggio 2016, la GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di #bergamo e lieta di presentare la prima personale in un’istituzione italiana di #rashidjohnson (Chicago, 1977. Vive e lavora a New York), artista afro-americano considerato centrale nel dibattito attorno alle tematiche dell’identità, dell’integrazione, della memoria.

Dopo gli studi in fotografia, la sua straordinaria carriera inizia nel 2001, quando a soli ventuno anni è il più giovane artista a essere invitato alla #mostra liminale “Freestyle” presso lo Studio Museum di Harlem a cura di Thelma Golden, che coniò il termine “Post-Black Art”.
Una carriera che si è sviluppata nelle recenti mostre personali presso il Museum of #contemporaryart di Chicago (2012), il Museum of #contemporaryart di Denver (2014); la Kunsthalle di Winterthur (2015) e il Garage Museum of #contemporaryart di Mosca (2016).

Curata da Stefano Raimondi, la #mostra presentata alla GAMeC offre, attraverso una serie di lavori inediti e storici, una lettura più intima e allo stesso tempo più universale della pratica artistica di #rashidjohnson, svincolandosi da facili categorizzazioni ed etichette e addentrandosi nell’affascinante rete di stratificazioni narrative e formali, suggestioni, esperienze personali e storiche che danno forma alle opere.
Il titolo Poetry può quindi essere contemporaneamente riferito a due elementi: al ricordo della madre dell’artista che prima di ottenere un dottorato sulla Storia Africana e diventare una docente accademica scrisse dei libri di poesia che influenzarono la pratica artistica di Johnson, e a una visione del mondo che non può essere ridotta a un’identità monolitica e a una sintassi semplice, quanto piuttosto alla capacità di abbracciare una pluralità di conoscenze e linguaggi, a un invito di fruizione della #mostra secondo la propria sensibilità, al fatto che l’arte debba sempre relazionarsi ai temi più grandi della vita e parlarci della condizione umana, al fatto che una poesia si legge nell’animo prima ancora che nelle parole.
Questa grammatica sgrammaticata, racconto senza fine, sintesi di contraddizioni trova una prima applicazione nella diversità dei media e dei materiali presentati in #mostra, divenuti una firma e una porta d’accesso privilegiata al mondo dell’artista: sculture, dipinti, installazioni e video in cui ricorrono elementi caratteristici quali il sapone nero, la cera, le piastrelle in ceramica, la carta da parati, gli spray smaltati e ancora libri, vinili, gusci d’ostrica, burro di Karité, ferro, piante.
Alcuni elementi sono portatori di un fenomeno culturale: la cera, il sapone o il burro di Karité erano largamente utilizzati durante la Diaspora Africana e successivamente associati all’ideologia culturale dell’Afrocentrismo negli Stati Uniti verso la fine del XX secolo; i vinili e i libri fanno invece riferimento a una storia più intima, che vede gli album ascoltati dall’artista quando era un ragazzo, gli strumenti elettrici del padre e i testi sottratti dalla libreria della madre rientrare in quello che è definito come memorializzazione del processo di appropriazione e ritrasposizione dello spazio domestico.
Tutti i materiali, pur portandosi appresso queste memorie, diventano nella mano dell’artista oggetti di una narrazione più ampia; sottratti dal loro contesto d’origine, sono scelti per la loro capacità di interazione, perdono una connotazione biografica o di conoscenza e sono usati come strumenti capaci di creare segni e tracce grafiche, diventando linee e quindi referenze all’arte minimale, elementi di distribuzione di informazioni e sottotesti. Per #rashidjohnson “l’artista è un viaggiatore nel tempo “e il suo lavoro è descritto “come un mezzo o un portale per riscrivere la storia in modo efficace, non come una revisione, ma come un lavoro di finzione”.
Per creare un dialogo serrato e continuo tra le diverse opere, esperienze, tecniche e materiali, tutti i lavori sono posizionati all’interno di un singolo spazio e visibili immediatamente come un unicum.
Il centro della sala è occupato dall’imponente Fatherhood (2015), una scultura piramidale e totemica, una forma di psiche delocalizzata il cui esoscheletro – composto da cubi d’acciaio di diversa grandezza, posti l’uno sopra l’altro in modo da creare una griglia tridimensionale – richiama le composizioni geometriche di Sol LeWitt e i lavori modulari di Carl Andre.
Questa struttura, svuotata, è riempita da una serie di oggetti e significati che hanno definito il linguaggio dell’artista: oggetti familiari di forte significato personale e sociale, dozzine di piante domestiche, lampade per coltivazione e una serie di libri tra cui alcune copie del best seller Fatherhood di Bill Cosby, che affronta il tema dell’essere padre ma che è legato alla controversa figura dell’attore.

L’opera interagisce e dialoga, creando una costellazione di letture, con i lavori posti lungo il perimetro dello Spazio Zero.
Tra queste, Between Heaven and Hell (2012) è centrale per comprendere la trasformazione dei significati in forme oggettuali. L’opera si configura, infatti, come uno scaffale o, per usare le parole dell’artista e riferendosi al libro di Lawrence Weiner, “Qualcosa su cui mettere sopra qualcosa”. L’atto di trovare uno spazio in cui appoggiare la propria storia è legato alla necessità di conservare ma anche di esporre l’infinita, spesso contraddittoria, varietà degli stimoli che in infiniti “qui e ora” concorrono alla creazione dell’identità e di un linguaggio intuitivo e affascinante.
Accanto a vinili e libri, la scultura include anche un busto, solamente abbozzato, in burro di Karité. Originario dell'Africa, questo materiale è cresciuto in popolarità durante il movimento Afrocentrico, che ha influenzato parte dell'infanzia dell'artista.

Goodbye Derrick (2012) è un eccezionale dipinto astratto realizzato su un pavimento di quercia rossa, la cui superficie è marchiata da alcuni segni ambigui ripetuti più volte. Si tratta di immagini di un mirino, appreso dal logo del gruppo hip-hop Public Enemy, che rivela sia una forte carica aggressiva sia un approfondito studio delle forme geometriche, foglie di palma e ancora le insegne di Sigma Pi Phi, la prima associazione professionale e culturale di Afro-Americani il cui nome è scritto in lettere greche.
Tuttavia, questo processo di ripetizione ne modifica il significato portandolo sul piano più formale dell’astrazione, sottolineando come la forma, la composizione e l’uso dei materiali siano un punto imprescindibile del discorso artistico e ponendo la domanda di come questi oggetti diventino dei significanti, di cosa siano una volta persa la funzione per la quale erano originariamente pensati.
La #mostra accoglie inoltre le opere Them (2014), Untitled Anxious Men (2014) e Positions (2015), realizzate usando tre tipologie di piastrelle diverse: a specchio, bianche e colorate. Sono lavori molto gestuali e armonici e per questa caratteristica sono chiamati dall’artista “Cosmic Slop”, termine che si riferisce a una danza finzionale, come se il dipinto emergesse e fosse la conseguenza di un movimento “fisico” e performativo attorno a esso. Il sapone nero viene letteralmente colato spostandosi e circumnavigando l’opera come se fosse un’isola; le piastrelle creano una griglia bidimensionale (che, nel caso di Position viene estesa alla terza dimensione tramite l’uso del colore).

Untitled Anxious Man, in particolare, sembra richiamare l’arte informale di Dubuffet per la forza eccezionale con cui emerge la testa – scarabocchio della figura, assolutamente fuori scala e fuori proporzione –, impadronendosi di tutto lo spazio possibile come solo le opere di Art Brut sanno fare.
Il contrasto tra le piastrelle di ceramica bianca e il magnetismo del viso anonimo e irrequieto tracciato a solco sulla colata di sapone nero creano una densità emotiva irrefrenabile. Anche in questo caso è presente un elemento autobiografico, essendo l’ansia, la nevrosi e la psicoterapia temi frequenti del lavoro di #rashidjohnson.

 

La #mostra e parte di una serie in onore di Arturo Toffetti.

Accompagna la #mostra un catalogo edito da GAMeC Books.
Il volume, disponibile presso il Bookshop del #museo a partire dal mese di marzo, includerà le vedute dell’allestimento concepito per lo Spazio Zero della GAMeC; sarà presentato al pubblico il 13 maggio 2016, durante un evento parte della programmazione di ARTDATE.
Si ringrazia il GAMeC Club per il generoso contributo alla pubblicazione del catalogo.

La #mostra è stata realizzata grazie al supporto di Hauser & Wirth.


Biografia
Rashid Johnson nasce a Chicago nel 1977. Ha ottenuto una laurea in fotografia al Columbia College di Chicago e nel 2005 ha frequentato una laurea specialistica presso la School of the Art Institute di Chicago. Recenti mostre personali includono: Anxious Men, Drawing Center, New York; Three Rooms, Kunsthalle Winterthur, Winterthur, Svizzera (2015); Magic Numbers, George Economou Collection in Athens, Grecia (2014); New Growth, Museum of #contemporaryart, Denver (2014); The Gathering, Hauser & Wirth Zurigo (2013); New Growth, Ballroom Marfa (2013); Shelter, South London Gallery, Londra (2012) e la grande #mostra itinerante Message to Our Folks che ha aperto al Museum of #contemporaryart, Chicago (2012) e viaggiato al Miami Art Museum (2012), all’High Museum of Art, Atlanta (2012) e al Kemper Art Museum, St. Louis (2013).
Nel 2016, dopo la personale alla GAMeC, l’artista presenterà una #mostra personale negli spazi del Garage Museum of #contemporaryart di Mosca.

19 FEBBRAIO – 15 MAGGIO 2016
Rashid Johnson - Poetry

A cura di Stefano Raimondi

GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo
Spazio Zero
Inaugurazione: 18 febbraio 2016, ore 19:00


www.gamec.it