Cookie Consent by Free Privacy Policy website 'Carla Maria Maggi - L’artista ritrovata' alla Villa Borromeo d'Adda
march 04, 2020 - Villa Borromeo d'Adda

'Carla Maria Maggi - L’artista ritrovata' alla Villa Borromeo d'Adda


Press release available only in original language. 

Gli spazi espositivi di Villa Borromeo d’Adda di #arcore ospitano una nuova importante #mostra. Dopo il successo di Donne, Racconti al femminile nella #pittura dell’Ottocento e dei primi del Novecento, è la volta di Carla Maria Maggi, l’artista ritrovata, esposizione dedicata alla straordinaria figura di #carlamariamaggi, pittrice degli anni Trenta dalla struggente (e profondamente simbolica) storia personale.

Carla Maria Maggi (1913-2004) ha dipinto solo pochissimi anni, prima di decidere di abbandonare la strada dell’arte, nonostante le sue opere rivelassero già un talento promettente. Come molte altre artiste del suo tempo, #carlamariamaggi, figlia della buona società milanese degli anni Trenta, dopo il matrimonio ha dovuto mettere da parte il proprio talento pittorico e vestire i panni della moglie e madre perfetta, nei canoni del benpensantismo borghese del tempo. Prima di dimenticare il suo essere artista, però, la Maggi ci ha lasciato una serie straordinaria di opere che raccontano un’epoca, ritraendo con grande talento e raffinata sensibilità il mondo che lei frequentava. Allieva di Palanti, #carlamariamaggi ottiene successi pubblici e privati con i suoi dipinti. La sua #arte è piena espressione di un momento storico complesso e variegato, ancora in buona parte da riscoprire.

Carla Maria Maggi smise di dipingere per seguire le regole sociali alle quali il marito le chiedeva di sottomettersi; le sue opere vennero riscoperte da suo figlio, per caso, nascoste sotto una spessa coltre di coperte nel solaio della casa di campagna. Sensibile all’arte, il figlio Vittorio volle provare a fare luce sul passato della madre. Da allora si sono interessati all’opera della Maggi storici e critici d’arte quali Rossana Bossaglia, Vittorio Sgarbi e Elena Pontiggia. Le opere della Maggi sono state esposte a Milano, a Londra e, con straordinario successo al National Museum of Women in the Arts di Washington (dove La Sigaretta, capolavoro della pittrice è rimasta esposta, in prestito temporaneo, per qualche anno) e sono diventate motivo di riflessione e studio della condizione delle donne artiste fino a tempi molto recenti ma anche ragione di riscoperta della poco nota, ma interessantissima, #pittura borghese della Milano degli anni Trenta.

Incaricata dagli eredi della pittrice, nel 2007 Simona Bartolena ha scritto un volume dedicato alla Maggi, pubblicato dalla casa editrice Skira. L’anno successivo Palazzo Reale di Milano ha ospitato una #mostra, curata dalla Pontiggia con un contributo della stessa Bartolena, interamente dedicata all’opera della pittrice messa in relazione con gli altri grandi ritrattisti del suo tempo.

Il corpus dell’opera della Maggi è composto da una quarantina di opere, tutte di altissimo livello, che comprendono ritratti, nature morte e – cosa ben rara per una donna artista – nudi femminili ritratti dal vero. Pittrice di grande talento, #carlamariamaggi ha rappresentato magistralmente nella sua opera la società che frequentava e rappresentava: da una parte il bel mondo dell’alta borghesia milanese, divisa tra la città e i luoghi di villeggiatura, dall’altra la bohème degli ambienti di Brera e della Scala, liberi e pieni di stimoli per chi, come lei, volevano vivere nell’arte.

Quella di #carlamariamaggi, artista interrotta, è una storia che vale la pena di essere raccontata, tanto quanto la sua #pittura è degna di essere osservata con attenzione.

A dodici anni dalla #mostra a Palazzo Reale di Milano, dunque, l’opera della Maggi torna a essere esposta pubblicamente, in un evento d’eccezione curato da Simona Bartolena. Un’occasione imperdibile per scoprire una talentuosa pittrice, ma anche per riflettere sulla condizione femminile nelle arti fino a tempi molto recenti.

La #mostra, realizzata con la collaborazione con gli eredi dell’artista, è raccontata attraverso il corpus pressoché completo delle opere della pittrice e mediante pannelli didattici che ne narrano la vicenda personale.

Per l’occasione sarà esposta anche una tela inedita, recentemente trovata in una collezione privata.

Il catalogo dell’esposizione sarà disponibile in #mostra.

Italian Committee del National Museum of Women in the Arts di Washington

La fondatrice del NMWA, Wilhelmina Cole Holladay iniziò a collezionare #arte insieme al marito Wallace F. Holladay negli anni ’60, quando storici dell’arte e ricercatori cominciavano a discutere la significativa minor presenza di donne artiste nei musei e nelle collezioni. Tra i primi ad applicare un simile approccio revisionista, per più di 20 anni si dedicarono a raccogliere #arte delle donne, creando un museo che le rappresentasse in una collezione permanente, che è tutt’oggi il cuore del Museo di Washington DC. Con più di tremila opere realizzate dal Rinascimento a oggi, il NMWA è uno dei principali interlocutori privati nel circuito artistico americano e internazionale, unica istituzione al mondo dedicata al riconoscimento dell’opera delle artiste di ogni epoca e nazionalità attraverso l’esposizione, la conservazione, l’acquisizione dell’arte femminile, e che promuove al contempo la ricerca e la didattica in campo artistico. I comitati nazionali e internazionali del NMWA sono organizzazioni di volontariato che supportano gli obiettivi del NMWA nei loro rispettivi paesi, e permettono al NMWA di essere un’istituzione davvero globale. L’Associazione italiana Amici del National Museum of Women in the Arts è stata costituita a Milano nel 2004, grazie all’impegno del fondatore e primo presidente Vittorio Mosca, con lo scopo di sostenere la mission del NMWA sul territorio italiano: valorizzazione e promozione della creatività femminile, supporto formativo, comunicazione degli aspetti sinergici tra il National Museum of Women in the Arts e la realtà museale italiana.

Negli intenti dell’Associazione figurano iniziative di ricerca che mettano in luce i talenti femminili nell’ambito del patrimonio artistico, sia storico che contemporaneo, attraverso l’organizzazione di incontri d’arte, visite guidate a mostre ed esposizioni, conferenze, conversazioni con artiste, storici dell’arte e rappresentanti del mondo dello spettacolo e dell’editoria, ma anche serate conviviali all’insegna della creatività femminile.

Per promuovere e sostenere la formazione femminile nelle arti e nei mestieri d’arte, vi sono progetti di sostegno per le artiste, oltre alla comunicazione, tutela e conservazione della loro opera.

Villa Borromeo d’Adda

Per secoli la famiglia d’Adda ha legato il proprio nome ad #arcore, attraverso le vicende dei Conti di Sale e dei Marchesi di Pandino. Documenti catastali, risalenti al 1558, indicano Pagano II e Costanzo d’Adda quali intestatari di beni ed estese proprietà terriere ad #arcore. Due secoli più tardi i beni di #arcore giunsero, per via ereditaria, a Francesco IV (1726-1779), sesto conte di Sale, primogenito dei tre figli maschi di Costanzo IV; i fratelli Ferdinando e Lorenzo erano stati indirizzati il primo alla vita ecclesiastica, diventando abate, mentre il secondo alla carriera militare. Nel 1757, con una convenzione tra Ferdinando e il fratello Francesco, l’abate ottenne in uso vitalizio la parte alta della proprietà di #arcore, il luogo detto la “Montagnola” con l’autorizzazione ad apportare cambiamenti e migliorie, ma con il vincolo di restituzione alla linea ereditaria in quanto legata a fedecommesso. L’abate Ferdinando realizzò così una dimora sul colle e lì visse per quasi cinquant’anni, fino alla morte avvenuta il 24 agosto 1808. Con la morte di Maria, figlia di Francesco, si estinse la linea primogenita dei d’Adda di Sale e l’abate Ferdinando, secondogenito ancora in vita, poté reclamare i beni legati ai fedecommessi costituiti nel corso dei secoli. Parte dell’eredità di Maria venne dunque ripartita tra diversi membri della casata e a Febo d’Adda, marchese di Pandino, venne assegnato il seicentesco palazzo di #arcore, situato nella parte bassa della proprietà, oggi sede degli uffici comunali. Alla morte dell’abate Ferdinando, Febo, esercitando il suo diritto di prelazione, acquistò la Montagnola riunificando le due proprietà d’Adda. Nel 1836 le proprietà di #arcore furono ereditate da Giovanni d’Adda (1808-1859), che apportò una prima trasformazione alla residenza arcorese, incaricando dei lavori l’architetto Giuseppe Balzaretto (1801-1874). Il Balzaretto, dall’inizio degli anni ’40, operò sui giardini, disegnando «un ameno paesaggio, che correndo svariato e grandioso su tutti i versanti del colle da lui rimaneggiato, circondò il maestoso palazzo posto sulla vetta» e sugli edifici, sia sulla villa seicentesca situata nella parte bassa, sia sulla Montagnola. Della prima, rinunciando al seicentesco impianto a “U”, venne abbattuta la parte centrale e realizzata una cancellata in ferro battuto, conservando le eleganti ali laterali, destinate ad ambienti di servizio. Nell’ala di destra venne ricavata la portineria, mentre in quella di sinistra, in seguito alla morte di Maria Isimbardi, giovane moglie di Giovanni, trovò collocazione la cappella funeraria, opera del Balzaretto e magistralmente decorata dai fratelli Lorenzo e Vincenzo Vela. Sulla Montagnola il Balzaretto intervenne modificando l’ingresso affacciato sul paese, inserendo un loggiato coperto, e chiudendo con ampie vetrate il portico a tre campate sul prospetto rivolto a nord. A partire dagli anni ’80 fu Emanuele d’Adda, figlio di Giovanni, ad apportare nuovi interventi alla villa, affidando i lavori all’architetto Emilio Alemagna (1833-1910), allievo e collaboratore del Balzaretto. L’Alemagna modificò il loggiato coperto rea-lizzato dal Balzaretto, ricostruì i corpi laterali alzandoli di un piano, inserì un grande salone ellittico a piano terra e lo scalone d’onore. Lo stile neobarocchetto, riconoscibile nelle decorazioni con i ferri battuti, nelle balaustre in pietra e nelle modanature a conchiglia che ornano le finestre, caratterizzano l’opera dell’Alemagna, sia sui prospetti sia sull’ampio parterre all’italiana, esposto a nord. La villa raggiunse dunque l’attuale conformazione, disposta su cinque livelli, interrato, rialzato, primo ammezzato, primo piano, secondo ammezzato, per una superficie totale di mq. 2389, suddivisa in 113 ambienti. Alla morte di Emanuele, nel 1911, non avendo eredi, le proprietà e i titoli nobiliari passarono a Febo Borromeo, figlio della cugina Costanza maritata a Carlo Borromeo, che nel 1913 ottenne di aggiungere d’Adda al proprio cognome. Nel 1980 le proprietà della famiglia Borromeo d’Adda, ad eccezione della Cappella Vela, vennero acquistate dal Comune di #arcore. Nel 2016 sono stati avviati i lavori di restauro della Villa, che si concludono ora con la sua riapertura al pubblico.

INFO

Carla Maria Maggi

L’artista ritrovata

A cura di Simona Bartolena

Inaugurazione

8 marzo, ore 18.00

8 marzo-3 maggio 2020

Villa Borromeo d’Adda

Largo Vincenzo Vela 1 #arcore, MB

una #mostra organizzata da

Comune di Arcore

con il coordinamento tecnico di

Ponte 43

Associazione heart – PULSAZIONI CULTURALI

con il patrocinio di

Regione Lombardia

Italy Committee Washington National Museum of Women in the Arts

evento inserito nel calendario di

MuseoCity 2020

orari di apertura

venerdì, giovedì, sabato e domenica dalle 14.00 alle 18.30

Ingressi

intero € 5,00 / ridotto € 3,00

Visite guidate ogni prime domeniche del mese dalle 15.00 alle 18.00

per informazioni per visite guidate per gruppi in altre date (anche fuori orario di apertura): info@associazioneheart.it

Ufficio stampa

Sara Zolla

press@sarazolla.com

T. 346 8457982